La struttura base già descritta, può essere ampliata da elementi aggiuntivi come nel caso del complesso templare di Karnak, dedicato al dio Amon-Ra. In esso troviamo una serie di costruzioni successive addossate alla struttura base, alcune delle quali non in asse, ma che allo stesso tempo non alterano il concetto architettonico originale.
Il Tempio di Karnak è stato ampliato e ricostruito per ben 20 dinastie.
La prima fase di costruzione del tempio risale a Tutmosi I, intorno al 1150 a.C. L’elemento essenziale è una vasta spianata posta davanti alla facciata di un tempio risalente al Medio Regno e oggi scomparso, la quale era circondata da un muro.
L’ingresso di questa spianata era chiuso da un grosso doppio pilone (il IV e il V attuali), tra i cui alti muri era ricavata una sala ipostila a una fila di colonne e davanti al quale, si ergevano due obelischi.
Questa prima sistemazione fu totalmente sconvolta sotto Hatshepsut figlia di Tutmosi I e, come si è detto, una delle poche donne a salire al trono d’Egitto. La regina fece costruire nella seconda metà del cortile un complesso di camere per offerte e un tempio deposito per la barca sacra del dio. Vicino ai due obelischi del padre ne fece erigere altri due e sul viale sud, lo stesso che successivamente collegherà il tempio di Karnak a quello di Luxor, costruì quello che attualmente è chiamato l’VIII pilone. Ma fu Tutmosi III, suo successore, a dare un maggiore contributo all’assetto definitivo del tempio.
Dopo aver sostituito il tempio deposito, della regina Hatshepsut, sua zia, fece costruire un “pilone interno” in ciò che rimaneva del cortile di Tutmosi I e chiuse lateralmente il viale assiale che portava al santuario in modo da lasciare in penombra tutta la zona davanti al santuario stesso.
Inoltre, fece costruire dietro al tempio e addossato a esso, un complesso monumentale completamente in arenaria, la cui sala principale o “sala delle feste” è il primo esempio noto di costruzione a pianta “basilicale”, antenata della famosa sala ipostila.
Intorno alla sala c’erano molte altre stanze, magazzini e piccoli santuari. Due di queste stanze, dedicate ad Amon, sono famose con il nome di “Orto Botanico”, perché le loro mura sono ricoperte da rappresentazioni di piante e animali esotici. Sul viale sud innalzò un nuovo pilone (il VII) dietro quello della zia e vi pose davanti due obelischi (uno dei quali ora si trova a Istanbul). Dietro al muro di cinta del tempio, al posto di una cappella di Hatshepsut, Tutmosi III fece costruire un piccolo tempio che aveva al posto del sancta sanctorum, un obelisco (oggi a P.za S. Giovanni in Laterano a Roma). Successivamente il tempio fu allargato verso ovest da Amenophi III, che costruì davanti agli obelischi di Tutmosi I, Hatschepsut, Tutmosi III e Amenophi II, un grande pilone (il III), inglobando al suo interno opere precedenti come la “cappella Bianca” di Sesostri I o il deposito di barche in alabastro di Amenophi I. Dopo un periodo di stasi, coincidente con la Rivoluzione Amarniana[1], si tornò ad ampliare il santuario del dio Amon soprattutto con Horemheb.
Egli costruì il IX e il X pilone, utilizzando mattoni provenienti dai templi di Akhenaton. Horemheb iniziò anche la costruzione del II pilone terminato sotto Ramesse I. Tra il III e il II pilone fu costruita la sala ipostila più vasta del mondo: larga 103m e profonda 52m con 134 colonne papiriformi sovraccariche di scene e di iscrizioni. La navata centrale è composta da due file di sei colonne con capitello aperto alte 20m con una circonferenza di 10m; mentre le altre sono alte 13m con la circonferenza di 8,50m. L’illuminazione interna è data da finestre dette “clausura” disposte fra i due livelli del tetto.
La sala fu costruita da Seti I faraone della XIX dinastia e le decorazioni furono fatte da suo figlio Ramesse II. Davanti al pilone vi era un viale di sfingi che si spingeva fino alla banchina sul Nilo. Da una parte e dall’altra di questo viale Seti II e Ramesse III fecero costruire ciascuno un edificio, uno per la statua del re, un altro per le barche sacre degli dei che andavano in processione verso Luxor.
Concludendo si può affermare che l’architettura egizia obbedisce a un particolare criterio, secondo il quale tutte le forme di arte erano state fissate in passato dagli stessi dèi e quindi il modo di migliorarle e perfezionarle non consisteva nel crearne di nuove, ma nell’ampliare quelle già esistenti.
[1] Così chiamata poiché la capitale dell’epoca è l’attuale Tell El-Amarna.